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Ma i giovani avranno mai la pensione?


Su lavoro e previdenza l’Italia è un Paese contraddittorio: agli under 35, cui sono offerti spesso impieghi precari, si chiede di reggere sulle proprie spalle un sistema pensionistico da pesi massimi. L’Ocse prevede che un neoassunto nel 2022 dovrà aspettare i 71 anni per ritirarsi. Senza più aiuti statali per fermarsi prima.


Giovani in pensione mai ma anche giovani «che non hanno voglia di lavorare». L’Italia delle contraddizioni è quel Paese in cui anche se i dati Ocse ci dicono che un neoassunto nel 2022 andrà in pensione a 71 anni, l’età più alta tra i Paesi sviluppati dopo quella della Danimarca, si sente spesso dire che gli under 35 sono bamboccioni, choosy, fannulloni da divano. Uno stereotipo paradossale: saranno proprio i giovani di oggi a passare più tempo in ufficio o in fabbrica, impegnati a reggere sulle spalle un sistema previdenziale da pesi massimi. La generazione Atlante che, da sola, sorregge il cielo.


A inquadrare la situazione italiana ci aiutano, come sempre, i dati. Nel rapporto Pensions at a Glance dell’Ocse (in inglese Oecd, Organisation for Economic Co-operation and Development) si spiega che l’aumento dell’età pensionabile è legato all’aspettativa di vita: «Per chi entra ora nel mercato del lavoro l’età della pensione arriverà a 70 anni nei Paesi Bassi e in Svezia, a 71 in Estonia e Italia, a 74 in Danimarca». Nessuno escluso, quindi. Il mercato italiano però ha le sue peculiarità, che vanno conosciute per capire la sfida che attende gli under 35. Che non potranno contare su escamotage per lasciare prima il lavoro come Quota 103 o Opzione Donna, misure già limate nella legge di Bilancio 1.


COME REGGERÀ UN MERCATODEL LAVORO CON POCHI LAVORATORI ?

Tra le storture del nostro sistema previdenziale i ricercatori Ocse evidenziano l’alta spesa pensionistica in proporzione al Pil e le pensioni rotonde in rapporto ai salari scarni. Ad aggravare la salute del sistema Italia c’è poi l’inverno demografico denunciato a più riprese dall’Istat e associato al fenomeno delle culle vuote (nel 2022 le nascite sono scese a 393 mila, -1,7% sull’anno precedente), e all’invecchiamento della popolazione. Risultato? I 18-34enni sono poco più di 10 milioni, il 17,5% della popolazione, mentre nel 2003 superavano i 13 milioni. In vent’anni abbiamo perso quasi tre milioni di giovani. Andrà peggio sul lungo periodo: nel 2050 saranno poco più di 8 milioni, appena il 15,2% del totale. Lo scenario che si prospetta è quindi un mercato del lavoro senza lavoratori. In pochi a reggere la piramide rovesciata delle pensioni.


Fonte: corriere.it



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